di Giancarlo Governi


Nei primi anni Cinquanta la Lazio era soprannominata la “quarta grande” per via che si piazzava ogni anno dopo le tre grandi del Nord (Milan, Juventus e Inter) che si disputavano lo scudetto, ma anche la squadra dei “buoni Sentimenti” per via che tra le sue fila aveva addirittura tre fratelli della grande famiglia di calciatori, che era rappresentata dai Sentimenti di Bomporto, in provincia di Modena. All’inizio erano arrivati Vittorio detto Ciccio, il terzo della famiglia e grande mediano, e Lucidio detto Cochi, il quarto della famiglia, grandissimo portiere. L’anno dopo arrivò Primo, detto Pagaja, il quinto della famiglia e grande difensore. Erano molto bravi i fratelli Sentimenti che avevano fatto fare alla Lazio il salto di qualità, ma il più bravo e il più illustre era Cochi, il portiere che con la Lazio aveva riconquistato il posto in Nazionale che gli era stato sottratto da Valerio Bacigalupo, il portiere del Grande Torino, perito a Superga.
Nel 1954 alla Lazio arrivò un allenatore nuovo che si chiamava Allasio, padre della stellina Marisa, una delle più belle attrici italiane. Allasio durò poco ma abbastanza per colpire al cuore la Lazio: fece cedere Cochi Sentimenti IV, con il pretesto che oramai era diventato vecchio.Giocò altri tre anni alla grande nel Vicenza e nel Torino. Cochi fu sostituito da un certo De Fazio, la sua mediocre riserva, e da Zibetti alla fine di una carriera per niente gloriosa. I tifosi della Lazio, se avessero avuto tra le mani Allasio, come si dice a Roma, se lo sarebbero magnato. Ci penserà il presidente Zenobi a fare giustizia: Allasio fu esonerato dopo poche partite, la metà delle quali perdute, ma dopo aver fatto il grave danno della cessione di Sentimenti IV. L’anno dopo arrivò un ragazzone alto un metro e 88 centimetri, mentre il grande Cochi era appena un metro e 70 centimetri. Praticamente un fenomeno per gli italiani di oltre mezzo secolo fa ed anche per gli sportivi, tanto che i tifosi diffidavano dei portieri troppo alti, incapaci secondo loro di parare i tiri rasoterra. Il ragazzone si chiamava Roberto Lovati che tutti presero a chiamare Bob. Fu un amore a prima vista, anche perché non veniva a sostituire direttamente Sentimenti IV ma i due portieri del disastro. Si accorsero immediatamente i laziali che il Bob era un portiere moderno, forte nelle uscite alte e nei tiri bassi, uno di quei portieri (e nella storia della Lazio ce ne sono stati diversi, basti pensare a quelli che verranno dopo come Felice Pulici, o Nando Orsi, o Luca Marchegiani o Angelo Peruzzi) che entrano e rimangono per sempre nella storia.
Il portiere è diverso da tutti gli altri ruoli e infatti i tifosi o lo amano o lo detestano. Lovati era tra quelli amati sempre e comunque, anche quando sbagliava (e se un portiere non sbaglia che portiere è?), anche quando prendeva gol al derby. Fu anche il portiere della Lazio del 1958, quella che vinse il primo trofeo della storia, la famosa Coppa Italia.
Così è ricordato nella grande enciclopedia laziale LazioWiki: “Bob Lovati è stato uno dei più forti portieri della Lazio e tra i migliori d’Italia. Imbattibile nelle uscite alte anche grazie ai suoi mezzi fisici (m. 1,88 per kg 77), dotato di un eccezionale piazzamento e di un formidabile colpo d’occhio, sapeva dirigere la difesa in maniera ottima. Dava un senso di sicurezza ai compagni ed era dotato di forte carisma. Proverbiali le sue spettacolari e potenti uscite di pugno con cui riusciva a mandare il pallone oltre la metà campo. Anche nei poderosi rinvii con il piede sinistro arrivava facilmente nell’area opposta… “
A 34 anni, dopo una decina di stagioni, decide ritirarsi anche per non lasciare la Lazio dove rimane come aiuto allenatore e sempre pronto a correre in soccorso della sua squadra del cuore ogni volta che un allenatore viene esonerato, come avvenne con Gei, con Lorenzo (uno che andava e veniva), con Maestrelli quando si ammalò, con Vinicio.
Nel campionato 1979-1980 riuscì a portare alla salvezza una squadra decimata dal calcio scommesse. Ma anche quando decise di lasciare la panchina rimase nella Lazio, come dirigente del settore giovanile, come osservatore, come consigliere. Una volta il Bob disse: “alla Lazio ho fatto tutto, tranne il presidente e il magazziniere”.
Gli ultimi anni furono amari per il Bob, lontano dalla Lazio l’amore della sua vita, ma rimase sempre nei cuori dei laziali, anche di quelli più giovani che non lo avevano conosciuto.  Perché lui non faceva parte della Lazialità ma era la Lazialità stessa.

Giancarlo Governi