Opportunità come questa capitano una volta nella vita. Prendere tutto con un solo colpo : il primato cittadino, l’allungo in classifica. E ricacciare “i cugini” nella crisi e nella colonna di destra.
E’ finita come peggio non poteva. Il sapore amarissimo della sconfitta in una sfida mai come oggi figlia degli episodi.
Al cospetto di una Roma in serie utile di risultati ma a corto di uomini e di fiato, Reja opta di nuovo per uno schieramento a specchio rinunciando a quel 4-2-3-1 che aveva fatto le fortune della Lazio nelle ultime tre gare. Moduli ma non solo. Nell’undici disposto a rombo, oltre allo squalificato Biava, non c’è  Zarate a cui viene preferito Rocchi in tandem con Floccari.
Dall’altra parte manca un pezzo per reparto: danno forfait Juan e Pizarro. Totti è out per il rosso rimediato contro il Lecce.
La gara inizia al piccolo trotto. Qualcuno le chiama fasi di studio. Sembra invece un’idea precisa, quella di Reja, di giocare d’attesa. Squadra a coprire gli spazi pronta a colpire sfruttando le ripartenze. Suona bene nel linguaggio moderno del calcio. Dieci anni fa si sarebbe parlato di catenaccio e contropiede.
Eppure nei primissimi scampoli di gara sembra che sia la Lazio a poter menare le danze. Un fuoco di paglia perché con il passare dei minuti i nostri arretrano il proprio baricentro, lasciando libertà e campo alla manovra avversaria.  Marcature molli,  dieci dietro la linea del pallone aspettando il varco buono per la “ripartenza”.
Canovaccio scontato quello del recupero palla sulla propria trequarti e verticalizzazione fulminea a cercare la profondità di Rocchi. Questo in teoria. Perché nella pratica il veneziano non viene mai assistito a dovere ed i palloni faticosamente conquistati vengono rispediti senza complimenti al mittente.
Succede poco , comunque, nella prima metà della prima frazione. Un inizio tutt’altro che scintillante che vive di poche fiammate da una parte e dall’altra. Più Roma che Lazio fino alla prima vera “ripartenza” innescata da Brocchi in largo su Mauri che di prima centra per l’accorrente Rocchi che non arriva sul pallone per un soffio.  Ancora pochi giri d’orologio e sempre da quella parte – lì dove Radu spinge su Perrotta e Cassetti soffre nell’uno contro uno a turno contro Mauri ed Hernanes che, francobollato al centro, cerca ispirazione sulla fascia- nasce una nuova possibilità con il Profeta che , pescato ottimamente a centro area,  gira alto di sinistro dal dischetto del rigore.
La Roma risponde con un’azione volante per vie centrali che manda alla conclusione Vucinic ed un gol annullato a Greco subentrato un attimo prima a Menez . Ultima emozione di 45 minuti che non passeranno alla storia.
Alla riapertura del sipario la Lazio cambia pelle. Fuori Rocchi , dentro Zarate e ritorno ad un modulo che ha portato – tra gli altri- ai colpi grossi di Palermo e Bari.
Pronti-via e la Lazio appare da subito più quadrata ed aggressiva.  Inizia a girare a velocità doppia. Ma come nella migliore tradizione nei derby – quelli più recenti, almeno-  al primo vero errore viene castigata. Male Dias in uscita sulla sinistra che permette a Greco di centrare per Simplicio che cerca la porta ma trova il braccio largo di Lichsteiner. Rigore che Borriello calcia in maniera pessima, Muslera intuisce ma non riesce ad impedire che la palla termini in rete. Brutto segno di una sorte che ti volta le spalle proprio nel momento peggiore.

La Lazio torna alla carica e finalmente lo fa in maniera convinta; ora è la Roma a chiudersi-  non sempre bene- e a cercare le “ripartenze”.  Non è un vero e proprio assedio ma ogni volta che i nostri spingono riescono a rendersi pericolosi. Prima Floccari conclude fuori di testa, poi Hernanes, Zarate ed ancora il calabrese creano apprensione alla difesa ospite.
Fino all’occasionissima che capita sul piede del Profeta imbeccato nel corridoio centrale da Mauri. Oggi come 6 mesi fa è ancora il piede di Julio Sergio a salvare.
Hernanes lascia il campo al 72esimo sostituito da Foggia e mai cambio suonò tanto a sentenza.
Perché in quel momento della gara con la Lazio che sfondava agevolmente in mezzo ed uno Zarate , a volte arruffone ma sufficientemente volitivo e dinamico sulla sinistra, allargare ulteriormente il gioco rinunciando agli inserimenti per vie centrali, era la peggiore delle scelte.
Si entra nei minuti finali e succede di tutto. La Roma trova la traversa con Simplicio; sul ribaltamento di fronte la Lazio, che aveva già avuto modo di recriminare per un  tocco di mano  (forse di coscia) in area del brasiliano ex palermo,  si vede negare il più colossale dei penalty.
La cintura è di Riise su Mauri  pronto a deviare in rete il più facile dei palloni a un metro dalla porta, su cross teso di Ledesma.
E’ il primo di una serie incredibile di episodi che maturano nell’ultimo quarto d’ora di fuoco.  Cassetti , ammonito nel primo tempo, stende Foggia e meriterebbe il doppio giallo; il napoletano si divora il pareggio stampando sull’incrocio da due metri un invito di Zarate dalla destra;  Morganti prima ingoia il fischietto sulla spinta di Baptista che con un effetto domino taglia fuori dall’azione Stendardo e Lichsteiner, poi assegna il secondo rigore di giornata per l’intervento di Dias sul numero 18 avversario.
Quello di Vucinic , ancora dal dischetto, è il 2-0 che chiude i conti in un match in cui gli errori di tutti – giocatori, mister ed arbitro- pesano come macigni.
I restanti spiccioli di gara servono solo per assistere all’ennesimo” terzo tempo” cestistico in area da parte di Simplicio ancora una volta ignorato da Morganti.
Rabbia ed amarezza, le uniche due parole che mi vengono in mente.
Perché la Lazio vista fino a domenica scorsa sarebbe andata agevolmente a punti contro questa Roma tutt’altro che in palla e per di più largamente rimaneggiata.
Quel modulo ridisegnato, quel primo tempo regalato, quell’approccio timido, quel freno a mano tirato.
Oggi come contro il Milan. Chiusa a non prenderle, inconsapevole di poter far male al rivale. Inconsapevole dei propri mezzi. Per poi scoprire , quando  è sotto, quando si scrolla di dosso le proprie paure e suona la carica, che il fortino nemico non è poi così inespugnabile.
Basta volerlo. La chiamano “mentalità”.
Forte con i deboli e debole con i forti. Solo per un problema di testa. Un vero peccato.
Opportunità come questa capitano una volta nella vita. Era una mano da non perdere: troppo ricco il piatto. Siamo ancora primi, potevamo essere primissimi.  E liberi di sognare senza limiti.