Lazio-Bologna il commento


Salvati da una porta che stava per chiudersi.
Lazio-Bologna vive il suo particolare “sliding doors” al 67esimo che cambia il destino del pomeriggio dell’Olimpico. In quel minuto, proprio mentre a bordo campo Foggia aveva svestito la tuta e si apprestava ad entrare in campo, su un disimpegno errato –uno dei pochi- della difesa ospite, la Lazio costruiva il suo vantaggio con Brocchi caparbio nella percussione centrale, che rifiniva con un perfetto filtrante per Rocchi il quale di prima trovava l’accorrente Mauri a centro area lesto nel tap in.
Rocchi-Mauri uno dei due che avrebbero lasciato presumibilmente il posto al napoletano per un finale di partita che  non sarebbe stato lo stesso.
In pochi secondi il destino della Lazio si è indirizzato sul giusto binario. Siamo saliti sul treno prima che la porta si chiudesse. Un’altra storia, fortunatamente a lieto fine.
Ma in un’altra dimensione, in un universo parallelo da qualche parte, c’è una Lazio che chiude in un affannoso quanto sterile forcing, al termine di una gara scialba che senza troppi sforzi di memoria potremmo ricondurre a quella sempre contro i rossoblù della scorsa stagione. In fondo sarebbe bastata una sola interruzione di gioco prima dell’incursione di Mauri che ha spianato la strada ad una vittoria, ad un certo punto quasi insperata, affinchè il cambio si producesse ed il destino cambiasse.
Destino benevolo questa volta, ma guai a sfidarlo ogni domenica.
Reja aveva “minacciato” il 4-1-2-1-2 ed è stato di parola. Un modulo che non ha mai fatto la fortuna di nessuna squadra. Un modulo senza storia nella sua breve storia. Un modulo che , con gli interpreti che la Lazio ha a disposizione, avvisa già in partenza di una rinuncia al gioco sulle fasce; che con la “diga” come vertice basso sa di 5-3-2 in fase di non possesso. Ma 5-3-2 vero, non quello rimescolato ad arte da quelli del “vota NO ai tre centrali” ; un modulo in cui il centrocampo pur lucidato nell’ultima sessione di mercato, finisce per essere di fatto quello dello scorso anno. Quello che trascinava quel maledetto pallone che non ne voleva sapere di passare nella metà campo avversaria; quello che si trascinava stanco con poca geometria e troppa prevedibilità.
Parte così Lazio-Bologna e nei primi 45 minuti la gara scivola via tra sbadigli ed imprecazioni, come era da aspettarsi; col tabellino che riporta un magro “3” nella casella dei tiri fuori dalla porta e “2” in quello nello specchio ma solo perchè nel conto ci finisce qualsiasi pallone sparato in qualunque modo verso i pali avversari.
Un possesso di palla sterile dei nostri in cerca di uno spazio al centro che non c’è , e mai ci può essere, se la squadra non lavora in ampiezza cercando di aprire le maglie avversarie; se le soluzioni davanti alla linea della palla sono , nella migliore delle ipotesi , tre e tutte alla ricerca degli stessi varchi; se i laterali non sono fluidificanti e in uno dei due casi , neanche laterali; se al trequartista, tra le tante qualità, manca proprio quella di saper destreggiarsi negli ultimi 25 metri.
Tempo di un caffè ed un paio di sigarette per ingannare l’attesa e si ricomincia. Peggio di prima. Si passa ad un 4-3-3 dove il miglior volante brasiliano si ritrova ad agire da punta esterna. Roba da chiudere tutto e dedicarsi al bricolage, decisamente più rilassante. Un paio di attacchi avversari tanto per far capire che , spingendo sull’accelleratore potrebbero pure far bottino pieno, fino al fatidico minuto 67. Il momento che cambia la partita. Quasi come un intervento divino ad evitare uno scempio ben più grande che si stava consumando nei pressi della panchina.
7 minuti ancora e Mauri (sontuosa la sua prestazione)- Rocchi inventano e rifiniscono un’azione da manuale che stende il Bologna e chiude virtualmente la gara. Fino alla nuova sfida al Dio pallone di un minuto dopo. Veramente troppo. E la sua ira si manifesta sotto forma di sinistro dai 20 metri di Mudingaiy. Ci può essere castigo peggiore? Ci sarebbe potuto essere. Se l’ultimo pallone spedito ancora una volta dalla destra da Siligardi in versione Giggs su un terzino, il nostro, che terzino non è, non fosse finito sulla testa di uno degli attaccanti meno prolifici del panorama italiano.
10 minuti strazianti con Kozak terminale di una squadra che finisce a 5 sulla mediana con l’unica preoccupazione di sparacchiare palloni alti, ed un rigore che arriva a chiudere la gara con 60 secondi di anticipo.
Vittoria meritata? Forse si. Sicuramente troppa grazia i tre gol all’attivo per una percentuale realizzativa del 100%.
I tre punti me li metto in saccoccia ed apro una bottiglia ma la delusione (la mia , sia chiaro) è tanta.
La qualità della squadra è alta. Anniluce da quella che si presentò ai nastri di partenza 12 mesi fa e competitiva per obiettivi importanti , sulla carta, se confrontata con i competitori.
La grossa qualità è rappresentata da una rosa che oggi vedeva gente come Matuzalem e Bresciano in panchina, Floccari in infermeria ed il compagno di nazionale del “loco” Perez –perno della squadra rivale – in tribuna. Credo che siano considerazioni da fare al momento di formulare un giudizio.
Specie se consideriamo che la squadra che  in assoluto offre il miglior calcio in serie A,  da un anno e due gare, è il Bari con una rosa costruita con gli scarti delle altre e a cui è assolutamente indifferente giocare con Raggi e Rossi al posto di Bonucci e Ranocchia,con Castillo anzichè Barreto, con Gazzi o Donati.
In un campionato in cui quasi tutte le squadre hanno iniziato a steccare e , secondo me, alcune, sono destinate a steccare anche alla distanza, la Lazio ha un’occasione ghiotta per vivere una stagione da protagonista.
Il problema è arrivare sempre in anticipo a prendere quel treno, prima che la porta si chiuda. Perchè i ritardi si pagano salato. Sono convinto che in una dimensione parallela c’è una Lazio che ha espugnato Genova, a punteggio pieno dopo due partite.