di Er Matador


Sul gol annullato a Caicedo, in assoluto fra le decisioni più capziose e indifendibili cui mi sia capitato di assistere negli ultimi decenni, ho letto considerazioni interessanti in merito al ruolo del VAR e all’interazione campo-fuoricampo nella direzione della gara.
A mio modo di vedere, però, l’epicentro dell’episodio rimane la valutazione della pretesa sbracciata di Panterone.

E qui dissento amichevolmente, ma non con meno fermezza, da chi ne riconosce l’irregolarità: se si parla di calcio, quello non è mai e poi mai fallo.
Il movimento lento, continuo, senza quella secchezza e soluzione di continuità che caratterizzano invece il tentativo di assestare una gomitata, lo mantengono nell’alveo della naturale dialettica stopper-centravanti.

Nella quale rientrano, volendo, anche le trattenute cui il nostro si è sottratto con una progressione che, sarà l’atmosfera del Bentegodi, ha ricordato il miglior Preben Elkjær Larsen: tant’è che un arbitro serio, se appena sussistono le condizioni per concedere il vantaggio, evita di interrompere il gioco.
Per il semplice fatto che il calcio, al netto del Regolamento e della tutela dell’integrità fisica di chi scende in campo, rimane un gioco maschio, fisico, di contatto.
Se si toglie tutto questo, come si possono svolgere i duelli uno contro uno? Con una partita a scacchi?

Alla decisione finale si è arrivati, a mio avviso, per la concomitanza di due componenti.

Una è quella di danneggiare a qualsiasi costo la Lazio, testimoniata da una gestione dei cartellini che meritava la radiazione del direttore di gara e la ripetizione della partita.
Rimango convinto che Schiffi, senza la macchina a bordocampo, si sarebbe inventato direttamente qualcosa in proprio pur di annullare il gol.
E che quest’anno il fuoco di sbarramento per impedire alla Lazio la conferma in CL sarà ancora più fitto del solito.

L’altra componente riguarda una tendenza leggibile nel fresco precedente del secondo giallo a Scamacca, in Spagna-Italia Under 21.
Anche lì un contrasto di pochissimo conto a metacampo, nel quale il centravanti degli azzurrini si fa semplicemente largo in un contrasto col marcatore con un movimento naturale e non violento del braccio; anche lì si passa da una giocata del tutto normotipica a una folle ammonizione.

La dinamica sembra chiara: snaturare il calcio più di quanto non si sia fatto sinora, trasformandolo dal gioco maschio di cui sopra in un non-contact sport, una sorta di pallavolo coi piedi, una cosa a metà fra la ridicola inverosimiglianza del wrestling e la fastidiosa leziosità di un mediocre balletto.
Chi può fermi questo ulteriore scempio ai danni dell’ex gioco più bello del mondo.