Tre punti fondamentali a fronte di una prestazione con luci e ombre.

Nel primo tempo i friulani si limitano alle azioni di rimessa e lasciano il pallino del gioco alla Lazio, che impone una valida supremazia territoriale e si rende spesso pericolosa ma evidenziando i consueti deficit di organizzazione.
Si veda, ad esempio, un buon cross di Radu che Immobile toglie dalla testa di Muriqi, rimarcando la differenza fra il giocare veramente insieme e il mero scendere in campo con la stessa maglia.
Ed è un peccato, perché mai come oggi la squadra cerca di coinvolgere il muflone, sia con palloni alti sia cercando di sfruttarne gli appoggi durante la manovra palla a terra.

A proposito, il difensore rumeno festeggia il record di presenze con una prestazione di grande spessore: spesso protagonista in avanti, ma garantendo un equilibrio tattico che Acerbi, giocando nella sua posizione, ha quasi sempre sacrificato.

Il risultato finale ruota attorno a due giocate di pregio verso la fine della prima frazione.
Marušić, lasciato libero dalla difesa avversaria con una disposizione da oratorio, ricorda un po’ certe segnature di Crespo: perde il tempo per una conclusione quasi a colpo sicuro, rimediando con una soluzione tecnicamente molto più difficile.
A telecomandare il suo tiro alle spalle di Musso provvede anche una deviazione, ma caparbietà e controllo del pallone nel cercare il varco giusto rendono l’eventuale pizzico di fortuna più che meritato.

L’altra prodezza arriva da Reina con un’uscita bassa da manuale: prima rimane in piedi offrendo il massimo della copertura, quindi compie un movimento di seconda intenzione a chiudere ulteriormente la visuale di tiro.
La ripresa dal basso evidenza che, anche per un offendente più qualitativo di Stryger Larsen, sarebbe stato praticamente impossibile trovare un varco.

Meno positiva la ripresa, con una sofferenza determinata da problemi atavici della gestione Inzaghi:

1) i cambi, che tolgono di mezzo tutti gli elementi (Muriqi, Immobile, Luis Alberto) in grado di tenere palla lontano dalla propria area e risucchiano in avanti gli avversari a pieno organico.
Soprattutto il muflone avrebbe coniugato la possibilità di mettere minuti nelle gambe con quella di rendersi utile, per una difesa meno passiva del gol di vantaggio

2) Un fondamento del calcio come gioco di squadra: le distanze fra i giocatori e fra i reparti.
Distanze che spesso saltano, per evidenti deficit organizzativi, lasciando pericolosi spifferi

3) La condizione atletica, scemata nel corso della gara. Nessuna squadra manifesta simili limiti di autonomia

4) La mancanza di personalità e di freddezza mentale, sia in giocatori che avrebbero i numeri per far sparire il pallone sia in quelli che potrebbero almeno arrangiarsi col mestiere.
Tenere palla, prendere falli, spezzare il ritmo sembrano concetti sconosciuti ai giocatori della Lazio: ai quali basta un accenno di pressing per cadere nel panico, liberandosi del pallone come se scottasse.
Senza scomodare Ledesma e Scaloni, veri specialisti della materia, un minimo di abilità in tal senso dovrebbe far parte delle competenze di base di un calciatore

Conseguenza di quanto sopra un finale con rischi per il risultato e per le coronarie assolutamente evitabili: se quel pallone nell’area piccola fosse finito a un giocatore meno insulso di Okaka (nella foto, ndr), forse ci si starebbe mangiando le mani per due punti buttati.