di Er Matador


Giocare all’Allianz Arena rappresenta per la Lazio, a prescindere, una pagina di Storia.
Per questo dispiace non averla potuta assaporare fino in fondo, fra la qualificazione già compromessa, il timore di un’imbarcata, la situazione kafkiana in cui si vive non solo in ambito calcistico.
È un po’ come la serata in cui la donna più bella del mondo accetta un invito a lume di candela: per il dopo cena non hai chance, ma fin lì ci sei arrivato.
Peccato che il senso di inadeguatezza e il cibo non di prim’ordine portino, piuttosto, a sperare che l’evento finisca quanto prima.
E poi quel ristorante, gelido e deserto: dove la conversazione langue anche perché le parole, anziché confondersi nel sottofondo di voci e musica, vengono addirittura amplificate in quel vuoto irreale.

Bayern-Lazio è andata un po’ così, come una favola sporcata.
Della quale rimane l’obiettivo minimo di evitare punteggi più che tennistici, centrato contro un avversario che ha onorato l’impegno, sia pure dosando le forze.
Risultato ottenuto con un minimo di buonsenso nel non lasciare troppi spazi, a costo di sacrificare quasi per intero le già ridotte velleità offensive.
Fa rabbia, per il rigore e per i cartellini, il doppiopesismo della direzione arbitrale: se si pensa a quanto accade in Italia, ma anche ai nostri arbitri in versione internazionale come Orsato ieri sera a Stamford Bridge, un problema endemico.
In occasione del penalty, Muriqi si è confermato il centravanti più pericoloso del mondo nella propria area.
Come al solito, problema evidente per chiunque ma non affrontato dai mitologici addetti ai lavori, e che di conseguenza si ripropone puntualmente.

La prova del duo offensivo è forse la nota meno lieta della serata.
Coppia inedita, certo, e a questo proposito viene in mente una lontana Inter del 1992/’93.
In un’intervista di inizio stagione, il buon Osvaldo Bagnoli lascia intuire una certa soddisfazione per il parco attaccanti, in cui Pančev come prima punta, Ruben Sosa e Fontolan seconde punte e Schillaci a giostrare fra i due ruoli gli offrono un discreto ventaglio di alternative.
Abituato a giocare con un attaccante al centro e uno che gira più al largo, spiega che l’unica coppia a cui non pensa è quella formata dall’uruguagio e dal Fontolan più giovane, fratello minore dello stopper con cui vinse il leggendario scudetto del Verona.
Nel corso della stagione le gerarchie tecniche si evolvono; l’Osvaldo, da grande motivatore qual è, trasforma un avvio deludente nella possibilità di giocare a mente sgombra, senza nulla da perdere, e incastra il neo-acquisto Manicone in un meccanismo che a quel punto diventa perfetto.
Il girone di ritorno dei nerazzurri è travolgente, e solo un liscio di Taccola nel derby, favorendo il pari di Gullit, ferma una rimonta-scudetto che stava prendendo corpo.
A quale duo d’attacco si affida quella squadra improvvisamente imbattibile? Ruben Sosa-Fontolan, neanche a farlo apposta.
Perché questo amarcord? Per sottolineare che la coppia offensiva più improbabile, quasi esclusa a priori dal tecnico, una volta messa in campo sa benissimo cosa deve fare.
E l’allenatore in questione è un saggio italianista forte di poche, solide certezze tattiche e attento al fattore umano, non un feticista del tiki-taka o un maniaco del modulo.
Torniamo a Muriqi e Correa: pochissime ore di volo in tandem ma una discreta compatibilità di caratteristiche, se si pensa alla propensione del muflone nel portare fuori l’uomo e offrire l’uno-due, che può innescare tecnica e velocità del Tucu.
Invece i due si ignorano e vengono a loro volta ignorati dalla squadra, come se gli attaccanti – ma anche altri compagni – si fossero presentati prima della partita e avessero capito solo dopo una mezz’ora di indossare la stessa maglia.
Come accade puntualmente con la gestione Inzaghi, così inadeguato da proporre in campo situazioni che a ogni evidenza non sono state collaudate in allenamento.
Davvero non se ne può più di conduzioni tecniche tanto squallide e dilettantistiche.

Bilancio dell’esperienza in CL? Ampiamente positivo, con un girone superato tutto sommato brillantemente e il disastro nel punteggio scampato di fronte a un avversario imbattibile.
La cosa migliore è l’aver disposto a piacimento del Borussia Dortmund in entrambe le gare.
La cosa peggiore è l’approccio alla gara d’andata col Bayern: e non per il punteggio, normalissimo di fronte a una simile corazzata, quanto per l’atteggiamento dei nostri tenori.
Gente che la CL – salvo un paio di eccezioni – l’aveva seguita alla Tv, che in quell’evento avrebbe dovuto trovare gli stimoli per la partita della vita, e invece l’ha affrontata come la merda olandese nel preliminare di Leverkusen.
A conferma di come tanti limiti della Lazio, e non da ieri, siano innanzitutto un problema di uomini.