di Er Matador


Partiamo da un dato di fatto: risultato bugiardo.
Sì, perché la Lazio scesa in campo ieri sera – e che ha compiuto un passo fondamentale verso la qualificazione alla fase a eliminazione diretta – meritava un margine molto più ampio.

Una prima mezz’ora di dominio quasi assoluto, con una facilità di manovra e di verticalizzazione in massa che dicono molto non solo sul versante tecnico-tattico.
Sì, perché attaccare con quella velocità e quel numero di effettivi significa che gran parte degli undici in campo si è dovuta sottoporre a scatti continui, situazione non semplice sul piano aerobico.
Segno quindi di una condizione fisica ritrovata, senza la quale non sarebbe pensabile giocare in quel modo.

Detto del capolavoro di Ciro, la palma del migliore in campo va senza dubbio a un Correa continuo e devastante come non mai.
Si è tentato di farne una seconda punta quando la sua vocazione è quella dell’ala, per ciò che un ruolo da esterno concede alla sua imprevedibilità e alla particolarissima geometria dei suoi movimenti?
Oppure c’entra una crescita nella testa, anche sul piano della responsabilità nei confronti della squadra?
Ricordando la sicurezza di Hoedt e la tranquillità con cui il gruppo ha fatto a meno di Milinković-Savić, la copertina va forse al meno impegnato fra i protagonisti in campo: Pepe Reina.
Non per la presa sicura con cui ha disinnescato i pochi tentativi dei pietroburghesi; piuttosto per i gustosi siparietti nei quali gli attaccanti avversari, dopo aver constatato come i suoi piedi fossero assai migliori dei loro, hanno allentato di molto il pressing con tutti i benefici del caso sulla costruzione dalla terza linea.
La chiave di tutto è lì: nella sicurezza che un portiere del genere riesce a trasmettere, e senza la quale è difficile immaginare una manovra così fluida e una mole di gioco a tratti impressionante anche sul piano quantitativo.
Non a caso il luna park di Sarri iniziò a scricchiolare quando Reina, bloccato nel trasferimento last minute al PSG, accusò il colpo sul piano psicologico e del rendimento.

Cosa si può migliorare rispetto a livelli così elevati? Beh, qualcosina c’è.
Intanto va sottolineata la distanza fra la rapidità – al di là di ogni aspettativa – con cui la squadra si è adattata all’upgrade tecnico e il persistente divario sul piano mentale.
Prova ne sia il calo di concentrazione dopo il secondo e il terzo gol, simboleggiato da un’approssimazione in marcatura, sul pur possente Dzjuba, che Acerbi non commette neppure mentre dorme.
E il gol con cui il centravanti russo ha temporaneamente riaperto il match è lì a confermare che questa manifestazione, in materia, non perdona nulla.
Siamo comunque nella più assoluta normalità, stante il livello del campionato italiano: bisogna insistere e accumulare esperienza, perché l’unica scuola di CL è la CL.
Una sottolineatura meritano anche i troppi errori sottomisura a tu per tu con l’estremo difensore: Luis Alberto, Lazzari, Correa, Muriqi, e forse non ci sono neppure tutti.
Segno, da un lato, della strabiliante facilità nel mettere l’uomo davanti al portiere.
Segno, dall’altro, di qualcosa che è mancato non tanto nella tecnica quanto nella freddezza.
Keržakov ha dimostrato un’impostazione tecnica assai solida nelle uscite basse, ma gli errori rimangono davvero troppo numerosi e, in altre partite, non sempre rimediabili.
Attenzione anche alla spia della riserva accesa dal serbatoio di Leiva, ieri bene ma non benissimo.
È una risorsa inestimabile che non può però reggere gli impegni ogni tre giorni, e va quindi centellinata con la massima parsimonia.

Note tecniche a parte, rimane una di quelle serate per le quali vale la pena di vivere una vita da tifoso.