di Er Matador


Campionato 1984/’85, seconda giornata: la Lazio affronta la trasferta di Udine, che finisce con un catastrofico 5-0 e l’esonero di Paolo Carosi avviando la stagione verso il baratro.
Oggi il risultato (pessimo in rapporto all’avversario di giornata, ma almeno rallenta l’emorragia di punti), la classifica complessiva (quella dopo la ripresa quasi quasi…) e la situazione societaria sono fortunatamente assai diversi.
Ma di quell’infausta giornata rimangono il senso di sfascio, di decomposizione, l’aria malsana dentro e fuori dal campo.

Alla Dacia Arena va in onda, per gli esteti del pallone, un vero e proprio horror.
Da una parte una provinciale anni ‘80 che ingolfa la zona centrale con la fisicità, lasciando le fasce alla controparte nella convinzione (rivelatasi purtroppo esatta) che non se ne farà granché e cercando di colpire di rimessa.
Un piano grossolano ma pragmatico, che andrebbe in porto se davanti ci fosse qualcosa di meno impresentabile rispetto all’eterna e finta promessa Okaka; e se De Paul non litigasse col palo, ma sarebbe stato davvero troppo.
Dall’altra un fermo immagine della squadra che fu, con Milinković-Savić buon ultimo nell’unirsi all’andazzo generale.
Un tiki-taka da subbuteo, con la supremazia territoriale più inutile di sempre a far circolare palla, senza l’ombra di un guizzo, un’accelerazione, un’idea, fra giocatori piantati a terra.
E piantati male, se si pensa a certi schieramenti difensivi da scampagnata su palloni persi in maniera già indisponente.

In simili condizioni, si tratti di preparazione atletica o anche di altro, diventa difficile affrontare discorsi tecnici.
Anche la mossa più significativa della giornata, il cambio di Luiz Felipe per Cataldi, è annegata nello stagno di una gara che sarebbe potuta proseguire per giorni senza impensierire il portiere friulano.
Per dovere di cronaca, la sostituzione non ha portato a un assetto diverso limitandosi a far scalare Parolo in terza linea: ma, mai come oggi, non sarebbe cambiato nulla.
Limiti pregressi a parte, troppa gente non è al momento di scendere in campo. E invece timbra regolarmente il cartellino, fra panchina cortissima e ancor meno voglia di inventarsi qualcosa.
Tanto varrebbe, invece, rischiare delle alternative per quanto improbabili o impresentabili, a maggior ragione in un calcio nel quale il giocatore più scarso è quello che non corre.

Certo, servirebbe di meglio, ad esempio, rispetto al buon Adekanye: bollicine di vivacità che svaniscono quasi subito, lasciando un retrogusto reso ancor più sgradevole dalla mira non proprio infallibile sottorete.
Qualche prospettiva in più, almeno sul piano dell’atletismo, sembra offrire Djavan Anderson, e non solo per dare il cambio a un Lazzari che sta correndo praticamente da solo: provarlo a sinistra proprio no?

Anche solo per porre fine allo scempio di Jony, oggi autore di una prestazione fra le più imbarazzanti a memoria d’uomo.
Inconsistente in tutto, dalla fase difensiva, dove ha lasciato voragini alle poche iniziative dei padroni di casa, a quella offensiva con qualche cross puntualmente calciato nel didietro dell’avversario: forse finirà davvero per romperglielo, ma in senso diverso da quello auspicato.
Si spera che la sua avventura con la Lazio, perlomeno in quel ruolo completamente non suo, sia finita ieri sera.