Temevo molto questa partita, più di quella contro l’Atalanta.
Il match contro gli orobici è di per sé uno scontro importante, contro una realtà percepita come formidabile (e lo è, per carità) da tutto il mondo pallonaro italiano ed europeo.
L’attenzione sarà tutta per la partita, su come contrastare Gomez e Ilicic, gli esterni e gli oramai proverbiali uno-contro-uno dell’antipatico ma bravo Gasperini.

Contro il Bologna il contorno ha preso il sopravvento sul campo. Il virus, le partite rinviate, la testa della classifica per una notte e poi per una settimana intera, l’evidente sperequazione delle forze in campo… tutto lasciava presagire una solenne inculata (perdonate il francese).

Poi comincia la partita e a fronte di una loro occasione ne abbiamo cinque o sei nitide, di cui due finiscono in fondo al sacco.
Tutto bene? No! È proprio allora che iniziano i problemi. Luis Alberto ha un problemino, e la Lazio cala insieme a lui. Lo spagnolo è il nostro faro, la nostra guida, leader tecnico in campo e oramai anche nello spogliatoio.
E soprattutto sopraggiunge la paura, la tensione, le vertigini: davvero siamo lì in alto? Davvero siamo primi? È un sogno? Quanto durerà?
Dagli spalti la paura era evidente, e non era solo dei ragazzi ma anche nostra. Di un pubblico che ha un sogno troppo grande per capocce che fino a ieri guardavano i punti di distacco dal quinto posto.

Beh, ad oggi la quinta in classifica dovrebbe fare 18 punti più della Lazio sui 36 a disposizione da qui al termine del campionato. Probabilmente non ci riuscirebbero neanche se mandassimo la Berretti da qui alla fine del torneo.

A Bergamo si può perdere, è ovvio che tecnicamente la Dea è più forte del Bologna.

Ma io confido nei recuperi di Marusic e Acerbi.
E mi fido di Rodia su Luis Alberto.