di Er Matador


C’è un precedente per la stramaledetta serata del San Paolo: un Parma-Juventus 1-0 del 1996/’97, terzultima d’andata.
Partita chiaramente “preparata” a livello ambientale dai padroni di casa, come riassunto dall’infelicissima battuta a fine gara dell’allora parmense Buffon (“bravi noi, asini loro”).
Gol (di Chiesa) in apertura su papera del portiere (Peruzzi).
Gara accesissima dal punto di vista agonistico, con arbitro compiacente ed espulsioni da ambo le parti (in quel caso si finì 9 contro 9).
Ospiti che concludono giocando a una porta sola, ma invano.
In concreto, una gara decisa irrimediabilmente nella prima fase, quella meno tecnica.

Il copione si è ripetuto al San Paolo, rendendo nuovamente attuale quanto osservato dopo la scandalosa Lazio-Inter 1-2 – quella del gol e della contestata esultanza di Hernanes: dov’è finito, a proposito? – anche allora con Massa nei panni di killer.
Vale a dire che la Lazio è cresciuta sul piano del carattere e della tenuta atletica, come dimostrano i tre punti più volte strappati nel finale, ma è cresciuta solo quando si gioca a calcio.
Nel momento in cui l’avversario mette in campo altre armi, dal mestiere a qualcosa di peggio, il gruppo di Pioli, di Inzaghi, di chiunque annega in un candore da Prima Comunione.
Si veda la reazione di Leiva: Massa lo punta con spietato cinismo selettivo, calcolando la sua importanza nel gioco biancoceleste e le caratteristiche che lo espongono come pochi alla doppia ammonizione.
Ma la sua plateale opposizione a un giallo criminoso, per un intervento sul pallone, rimane indifendibile: e se un fuoriclasse di testa ed esperienza come lui non regge quelle pressioni, cosa aspettarsi dagli altri?

Tentando di parlare di calcio, è difficile recensire un primo tempo nel quale la Lazio ha accusato troppo marcatamente il colpo del gol e del clima artificialmente esasperato.
Rimane a referto l’incapacità di sfruttare la sia pur brevissima superiorità numerica, al punto da lasciare la sensazione che, col ritorno ad armi pari sul piano degli effettivi in campo, la squadra si sia trovata maggiormente a proprio agio.
Notevole quanto sterile il possesso palla, con Luis Alberto sostituito sul piano del gioco ma non su quello delle giocate.
Il secondo tempo, con una fisionomia del match più definita, può essere suddiviso in due fasi.

Finché si è giocato con un minimo di ordine, Gattuso l’ha stravinta alla sua maniera con accorgimenti pragmatici da veteroitalianista alla Bortolo Mutti: spazi chiusi a doppia mandata, supremazia netta sulle palle alte, uso intelligente del fuorigioco, giocatori (Elmas) scelti per quel che avevano da dare senza badare al ruolo o a simili dettagli tattici.
È sembrato di assistere nuovamente a Barcellona-Chelsea: il pullman parcheggiato da Di Matteo nella sua area, il gioco bello quanto stolido degli offendenti che andava immancabilmente a sbattere contro un muro evidenziando un’assenza di alternative.
Che si tratti di un centravanti di peso assente nell’organico o del disponibilissimo Milinković-Savić, è mancato chiaramente qualcosa nel gioco aereo e in generale nelle soluzioni di sfondamento: un peccato, considerando anche la quantità di cross riversati nel cuore dei sedici metri partenopei.

Quando sono saltati tutti gli schemi, la Lazio ha ripreso quota e pericolosità mancando il pari per questioni di centimetri, intesi sia come fuorigioco sia come palloni finiti sui legni: un’indicazione abbastanza chiara su ciò che la squadra sa e non sa fare.
Jony ha confermato il brutto vizio di confondere talvolta il calcio col bowling, centrando gli avversari come birilli al momento di crossare, ma la sua propensione a muoversi vicino alla linea laterale ha contribuito ad allargare il fronte offensivo aprendo smagliature nel sin lì munitissimo fortino di Gattuso.

Proseguendo con le prestazioni individuali, difficile rimproverare a Immobile le condizioni del terreno di gioco che ne hanno provocato la scivolata dal dischetto.
Datogli atto del fattore sfortuna, appaiono meno giustificabili i troppi offside e la conclusione al volo malamente svirgolata su un corner: non che fosse un tiro facile, ma quando gli avversari ti lasciano così solo sul secondo palo bisogna approfittarne.
Correa frizzante ma spuntato, con la sensazione di un processo involutivo simile a quello di SMS: nell’intento, di per sé lodevole, di farne giocatori completi li si allontana troppo dalla porta.
Dimenticando che il loro contribuito determinante consiste nel suonare il pianoforte, mentre a spostarlo può provvedere anche qualcun altro.
Molto male Luiz Felipe, chiaroscurale Strakosha sul quale vale la pena di riportare il commento del telecronista.
Sul gol rimane indeciso fra la copertura del tiro e del cross, evitando di chiudere lo specchio della porta e lasciando platealmente il fianco a entrambi: nessuna notazione negativa dai dipendenti di Viale Mazzini.
A una ventina di minuti dalla fine, un colpo di testa di Milik centra il palo e ballonzola troppo a lungo sulla linea, a rischio di una carambola con la schiena del portiere, prima di essere spazzato via.
Il replay evidenzia che Strakosha, forte dell’accortezza di non essersi tagliato le unghie, arriva sulla traiettoria parabolica ma angolatissima del polacco deviandola di quel tanto che basta per mandarla sul legno: una prodezza, al limite delle possibilità atletiche in allungo.
Sentenza del duo Rimedio-Pasqual? “Intervento goffo”.

Cosa rimane di una serata da dimenticare?
Intanto la seconda eliminazione stagionale dalle Coppe, e anche qui contro un avversario il cui attuale livello tecnico non giustifica tale risultato.
Con buona pace dell’enfasi mediatica sul pubblico e sullo spirito ritrovato, la prestazione del Napoli si è ridotta ad agonismo esasperato, provocazioni metodiche e un Insigne più coatto del solito: robaccia da parte destra della classifica.
In vista di domenica, contro avversari concittadini e caratterialmente consanguinei rispetto a quelli del San Paolo, un’indicazione bivalente.
I biancocelesti hanno evidenziato i limiti extratecnici di cui si diceva e collezionato appunti potenzialmente preziosi a livello tattico.
Quegli altri hanno assistito a una dimostrazione pratica su come “fermare la Lazio”, per citare il loro hashtag alla vigilia del derby.
Si tratta di capire chi ha imparato meglio la lezione.