Ormai gli inizi di partita della Lazio stanno diventando una prassi: giochicchiamo il pallone col portiere per far alzare gli avversari, che infatti alzano il pressing, recuperano il pallone dai piedi dei Laziali e segnano.
La Lazio deve sperare che gli avversari non sfruttino i vantaggio che gli vengono offerti da questo atteggiamento, altrimenti è costretta a dover rincorrere.

La Coppa Italia era forse l’obiettivo primario da concretizzare in stagione; invece usciamo contro un avversario ostico che, nonostante errori e orrori, stavamo domando, arrivando a poter giocare quasi l’intera ripresa con l’uomo in più.
Tra l’espulsione e il loro gol passa il tempo passato dal vantaggio di Acerbi al loro pareggio.

Sono discorsi vecchi: quando il tecnico ricorre ad un turn over un poco più profondo, quelli chiamati in campo non si dimostrano all’altezza del ruolo, per limiti personali e perché assortiti non benissimo.
Inzaghi vuole difendere ad oltranza la sua identità di gioco, ma appare evidente che ci sono calciatori non all’altezza della situazione.
Non riuscire a creare nulla in superiorità numerica, subendo poi quel gol e pure quel rigore, è delittuoso.

Domenica ricominciamo, l’avversario è lo stesso, vediamo cosa abbiamo imparato e vendichiamo questa sconfitta.

Fuori in questa maniera dalla Coppa Italia, con un turno proibitivo di Champions e invischiati nel traffico in campionato, visti i recenti mercati, una cosa appare chiara: qualcosa in società si dovrà pur cambiare.
E credo sia doveroso cominciare dal DS, se è vero che i vecchi ancora sembrano più indispensabili di quelli che li dovevano sostituire.