di Er Matador


Una partita di quelle che creano una scissione, al limite della schizofrenia, fra la percezione del tifoso e quella dello sportivo.

Il tifoso vive per giornate come questa con un finale romanzesco e un gol decisivo segnato fuori da tutti i canoni, compresa la legge sull’impenetrabilità dei corpi.
Si esalta per il carattere della squadra, mentalmente sul pezzo anche dopo aver acciuffato un 3-3 a quel punto quasi miracoloso.
Rivaluta le sofferenze nel corso della gara per come hanno reso più orgasmica e incontenibile la gioia finale, rischi per le coronarie compresi.
Si augura che Cairo prenda bene la sconfitta e rimanga positivo, possibilmente a qualche malattia tropicale.
Manda al diavolo tattica e formazioni osservando come, sia a Bruges sia all’Olimpico torinese, la Lazio abbia dato il meglio mandando avanti tutte le risorse a disposizione: e a prezzo di un undici improvvisato, sulla carta quasi incomponibile in uno schieramento razionale.

Lo sportivo si butta nella Fontana di Trevi assieme al tifoso ma, anziché gettarvi anche i cahiers de doléances stilati durante i novanta minuti, li asciuga e li rilegge a mente più fredda.
Osservando che vincere in quel modo – a maggior ragione contro il club di una tra le figure più sporche del calcio italiano – è meraviglioso.
Ma ridursi a vincere in quel modo contro una simile squadraccia – fra le peggiori affrontate nelle ultime stagioni – sfiora l’incoscienza, e non sempre finirà nel migliore dei modi.
Ripassando mentalmente un primo tempo horror con un centrocampo leggerissimo fino all’inesistenza, Parolo impercettibile davanti alla difesa, Milinković-Savić convinto che il lockdown cominciasse alle 15, Pereira tecnicamente pregevole quanto uomo in meno in fase di non possesso palla.
Catalogando la prestazione difensiva d’insieme accanto a quelle collezionate fra i pali dai vari Budoni, Salafia, Muslera, Marchetti: passi per il rigore, inventato dal criminoso arbitraggio di Chiffi, ma gli altri due gol non sono immaginabili neanche all’oratorio.
Prendendo atto che, chiunque giochi, la terza linea riesce a conciliare troppo spesso l’incapacità di muoversi come reparto con la dimenticanza, sul piano individuale, dei fondamentali nella marcatura.
Constatando come un calo di tensione o una formazione sbagliata – eventi prevedibili, dunque – generino immancabilmente una caduta libera, dalla quale non è sempre possibile rimontare.

Che dire dei singoli protagonisti di un evento memorabile, magari sul piano emotivo più che su quello tecnico?
Sugli scudi, oltre al mattatore Caicedo (che si spera possa essersi sbloccato dopo un periodo di involuzione), l’uomo che ha svoltato l’inerzia della gara: Akpa Akpro.
A chi dovesse chiedere lumi circa la sua posizione, forse bisognerebbe rispondere: in campo.
Classico giocatore che, dove lo metti lo metti, porta fisicità, movimento, concretezza: un elemento in grado di dare spessore a un reparto, anche al netto dei sempre apprezzabili inserimenti in avanti.
Riferito dei fondamentali spezzoni di Immobile e Leiva, pollice in su anche per Muriqi: a Bruges aveva ricordato Rolando Bianchi per la capacità di guadagnare metri e alzare il baricentro; a Torino mette a referto una rifinitura da ala, quasi stonata rispetto al suo fisico, che aggiunge parecchio alle potenziali soluzioni offensive.
Agrodolce Patric, tanto generoso e continuo nei movimenti quanto, al confronto, poco produttivo nelle giocate: con l’aggravante di quel tiro alle stelle, sul quale aveva anche il tempo di stoppare e calciare a colpo sicuro.

Ora la trasferta a Peter, giro di boa per le prospettive in CL: ci sono i numeri per un risultato positivo, ma con la giusta concentrazione.
E sperando che la squadra, giocando ogni tre giorni, si impratichisca nella gestione delle energie: soprattutto quelle nervose.