Tommaso Maestrelli è stato il padre nobile della Lazio del primo scudetto, uomo-simbolo e figura di riferimento dell’intero movimento calcistico italiano negli anni settanta. Allenatore pluripremiato, desiderato dall’Avvocato Agnelli per la Juventus che voleva ricominciare a dominare il calcio italiano, Maestrelli era un uomo intelligente e sereno, che in gioventù aveva fatto esperienze importanti, come quella della prigionia durante l’ultima guerra. E poi aveva una… macchia nel curriculum: era stato il capitano della Roma retrocessa per la prima volta in serie B, nel ‘50/51. Un chiaro segno di predestinazione laziale.

Maestrelli arrivò alla fine della stagione ‘70/71, appena retrocessi in B sia il suo Foggia che la Lazio. Prese subito in mano la situazione, insieme a Bob Lovati, guidando a quattro mani la squadra alla vittoria della coppa delle Alpi. Assemblò il materiale che gli mise a disposizione Sbardella, dribblando i tentativi di sabotaggio del vecchio Lorenzo, spalleggiato da qualche tifoso nostalgico che invocava l’esonero del nuovo mister. Come si fa a voler richiamare un tecnico che ti ha appena fatto retrocedere? L’autolesionismo dei laziali non è nato mica nel terzo millennio.

La Lazio di Maestrelli decollò subito e tornò immediatamente in serie A, dove inaspettatamente si rivelò all’altezza delle grandi, perse prima uno scudetto all’ultima giornata e poi se lo aggiudicò, l’anno dopo, con una cavalcata trionfale. Il merito più grande del Maestro è stato l’aver tirato fuori un campione dalla materia ancora grezza che era Giorgio Chinaglia, a 24 anni già quotato, ma non ancora l’eroe che abbiamo conosciuto. La psicologia di Maestrelli e il suo rapporto tutto particolare con Giorgione fecero sentire il centravanti considerato e amato come un figlio.

Maestrelli fu la mente e Chinaglia il braccio di quella squadra magnifica. Molte sono le immagini che raccontano questo rapporto, illustrando un lato della personalità di Maestrelli che andava oltre il tratto tipico dell’allenatore di calcio, spesso in grado di gestire il talento dei calciatori e formare giovani, ma non di sovrapporsi alla figura paterna con sapienza e delicatezza.

Si parlò di lui per la successione di Valcareggi in Nazionale, e si ricorda ancora il meccanismo perfetto di quella Lazio che aveva portato in Italia il calcio totale. Purtroppo gli mancò la possibilità di saggiare la forza della sua squadra in Coppa dei Campioni, per la squalifica seguita agli incidenti di Lazio-Ipswich di Coppa UEFA. Il male che lo uccise a 54 anni gli tolse l’opportunità di misurarsi con un’altra grande sfida, ma l’impresa compiuta con la Lazio fa parte della storia del calcio italiano.

Il legame con Chinaglia è stato reso perpetuo dal recente trasferimento delle spoglie del campione nella tomba della famiglia Maestrelli. E questo ha chiuso il cerchio, dimostrando una volta di più come il Seminatore d’Oro fosse tale non solo in panchina, ma anche nella vita.